Sakineh: sospesa la lapidazione. Ora l’obiettivo è salvare lei, non scatenare l’islamofobia
Non c’è pace per Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’iraniana 43enne arrestata per il reato di adulterio, torturata, costretta a confessare la propria (assai dubbia) complicità nell’omicidio del marito, fustigata e poi condannata alla lapidazione. La buona notizia è che, dopo una grande mobilitazione internazionale (raccolte di firme, manifestazioni, personalità politiche europee che hanno indossato magliette con il suo viso, ecc.) la lapidazione di Sakineh è stata per ora sospesa, e le autorità iraniane, colpite dall’ondata di sdegno e di ostilità che la vicenda ha suscitato in tutto il mondo, stanno riconsiderando la pena da comminare alla donna. Ma ciò non significa affatto che Sakineh sia salva (qui, i timori di un blogger iraniano raccolti dalla tv Al Jazeera). E Infatti il figlio maggiore di Sakineh, Sajjad Ghaderzadeh, il 9 settembre ha lanciato un nuovo appello: «Il caso non è risolto, continuate la campagna internazionale di pressione sul governo iraniano. Non abbiamo alcun documento ufficiale, se la Repubblica islamica è sincera, dovrebbe fornire le prove» (della sospensione della lapidazione, ndr). E prosegue: «Noi, suoi figli, dichiariamo che nostra madre è innocente e deve essere liberata immediatamente e incondizionatamente dalla Repubblica islamica».
A questo appello il governo iraniano risponde come può, ma è in evidente difficoltà . Suonano vecchia retorica le parole del ministro degli esteri Mottaki: «si tratta chiaramente di una montatura dell’Occidente per esercitare pressioni sull’Iran». E mentre nelle sedi internazionali si discute sulle misure da adottare, perfino a Rai Uno scoppia un “caso†politico quando l’ ambasciatore iraniano in Italia Seyed Mohammad Ali Hosseini viene intervistato a Unomattina Estate da Pierluigi Diaco e Georgia Luz. L’ambasciatore iraniano ha avuto prima il “coraggio” di affermare che «in Iran il potere giudiziario è del tutto indipendente da quello politico» (figuriamoci, non lo è del tutto nemmeno in Italia…) e quando Diaco gli ha chiesto se non provasse vergogna all’idea di lapidare una donna l’ambasciatore ha risposto che «allora tutti i Paesi che hanno fatto pressioni sull’Iran dovrebbero liberare i propri detenuti».
Il caso non è chiuso. Ma tutti dovremo tenere i nervi saldi. Perché l’obiettivo è salvare Sakineh, non scatenare l’islamofobia. L’islamofobia esiste, eccome: ne è portatore, per esempio, quel pastore protestante americano che sta allarmando il mondo con la campagna “bruciamo il Corano”, campagna contro cui si è già scagliato il presidente americano Obama affermando giustamente che fare roghi pubblici del Corano significherebbe fare un regalo ad Al Qaeda. Bisogna perciò dire le cose come stanno: la condanna di Sakineh è intollerabile e va cancellata, ma l’Islam in quanto religione non ne è resposabile perché il Corano non prescrive affatto la lapidazione (rajm); questa pena per l’adulterio si è affermata in epoca succesiva a quella coranica. Si tratta dunque di una tradizione che, in nome dei diritti universali della persona, va combattuta e cancellata, ma senza scatenare una guerra di religione.

Ciao Marco, ho cambiato nome al blog, puoi aggiornare il nome sul tuo blogroll dei siti amici? Grazie, Ape*
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