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Reportage: la fragile pace dello Sri Lanka

26 Gennaio 2011 di 4 398 views

Resta fragile la pace nello Sri Lanka, dopo la fine della guerra civile conclusasi nel maggio 2009 con la sconfitta definitiva della Tigri Tamil (ne abbiamo parlato in vari post nella categoria “Sri Lanka”). Mentre il Paese cerca di risollevarsi e curare le ferite della guerra civile, giungono ancora purtroppo notizie di violenze commesse da squadracce legate all’esercito, ai danni della popolazione tamil nella penisola di Jaffna. La situazione politica in Sri Lanka permane instabile, mentre le autorità religiose – buddhiste, cristiane, induiste e musulmane – si adoperano in una faticosa opera di mediazione fra le due etnie maggioritarie del Paese, i singalesi e i tami. Di seguito potete legere un reportage che ho pubblicato il 16/01/2011 sul quotidiano Avvenire, nell’inserto culturale della domenica, Agorà.
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Annamalai è felice. Di solito fa il domestico in un’elegante villa milanese e soffre di nostalgia per la famiglia rimasta in Sri Lanka, ma ora è tornato per un breve periodo di vacanza a casa sua, qui a Trincomalee, cittadina sulla costa orientale dell’isola. Si è riunito alla moglie e ai due figli e insieme camminano sereni verso il tempio induista di Koneswaram, che dall’alto di uno sperone di roccia sovrasta la magnifica baia di Trincomalee. Oggi è giorno di festa al tempio, e tutti i tamil della regione vi convergono per salutarsi, a prescindere dall’appartenenza religiosa: ci sono gli induisti naturalmente (costituiscono l’80% dei tamil) ma nella piazzetta davanti al tempio si vedono anche scolaresche di ragazzine tamil musulmane – con la divisa scolastica bianca, la cravatta rossa e il velo sulla testa – e famiglie di tamil cristiani con catenina e croce al collo, in evidenza sopra la maglietta. Sul ciglio della strada che sale al tempio ci sono numerosi militari, ma non fermano né controllano nessuno: parlottano fra loro, fumano sigarette. L’epoca dei posti di blocco sembra finita, l’atmosfera è rilassata.

«Non ci speravo quasi più di trovare serenità dalle mie parti», dice con un sospiro Annamalai. «Qui fino al maggio 2009 si viveva con l’angoscia delle bombe, degli attentati terroristici, dei blitz delle forze armate che portavano via la gente e spesso non si sapeva né dove né perché. Ora noi tamil siamo ancora poveri, ma almeno siamo liberi dalla paura. E quando tornerò in Italia a lavorare non dovrò temere per la mia famiglia». La guerra civile ha insanguinato Sri Lanka per quasi trent’anni, dal 1983 al maggio 2009, quando le Tigri Tamil sono state definitivamente sconfitte dalle truppe governative. Una guerra civile fra la maggioranza singalese buddhista e la minoranza tamil induista, che è costata, secondo l’Onu, centomila morti e un numero di profughi e sfollati che nessuno, in questo Paese, sa ancora quantificare. Il peso del conflitto è ricaduto soprattutto sulle regioni tamil che chiedevano l’indipendenza: la costa orientale e la penisola settentrionale di Jaffna, dove persistono “campi di raccolta” per migliaia di sfollati tamil.

Dalla guerra è emerso un vincitore assoluto: il presidente Mahinda Rajapaksa (di etnia singalese e religione buddhista), oggi vero “uomo forte” dello Sri Lanka. Nel 2010 Rajapaksa ha consolidato ulteriormente il suo potere vincendo le elezioni presidenziali in gennaio e le elezioni parlamentari in aprile, continuando a ripetere come un mantra due parole dolci come il miele per tutti gli abitanti di Sri Lanka: riconciliazione e sviluppo. Ha dichiarato che «non ci sono più minoranze in Sri Lanka, ma solo cittadini»,  ha promesso ricchezza alle regioni tamil (molto più povere del resto del Paese), ha varato la creazione di due Independent Trade Zones nei distretti tamil di Trincomalee e Kilinochi per attirare investimenti stranieri, e si è impegnato a rilanciare il turismo, vera miniera d’oro di questa splendida isola. «Il mio obiettivo è arrivare a 2,5 milioni di turisti nel 2016» ha dichiarato Rajapaksa. (Ma va notato che negli ultimi trent’anni il turismo occidentale è stato costretto ad evitare le regioni tamil per paura della guerra civile; così, le spiagge di Trincomalee – non meno belle di quelle del resto dell’isola – sono ancora vuote, le strutture alberghiere sono più scadenti, le strade ancora malmesse anche a causa dello tsunami del 2004, che in tutta l’isola fece quasi 50mila morti. Ma mentre nelle regioni singalesi la ricostruzione fu, per quanto possibile, veloce, nelle zone tamil ancora oggi non può dirsi del tutto conclusa).

E nell’agosto di quest’anno, per tendere un ramoscello d’ulivo agli sconfitti, Rajapaksa ha creato una Commissione di Riconciliazione Nazionale che indaghi sui tantissimi casi di “scomparsi” (fra cui due sacerdoti cattolici negli ultimi quattro anni) e sulle violenze commesse contro la popolazione civile.

Tutto bene, dunque? Niente affatto. Agli inizi di novembre varie organizzazioni internazionali per i diritti civili – fra cui Amnesty International e Human Rights Watch – si sono rifiutate di collaborare con la Commissione di Riconciliazione Nazionale accusandola di «mancanza di imparzialità e di credibilità», in quanto i suoi membri sono tutti di nomina governativa. Molte Ong dichiarano inoltre di temere per la vita delle persone chiamate a testimoniare le malefatte commesse dalle Forze Armate: trattati alla stregua di “traditori”, i testimoni necessiterebbero di protezione.

«I cristiani sperano che la Commissione statale considererà seriamente le nostre raccomandazioni per curare le ferite lasciate dalla guerra e porre le fondamenta di un futuro di pace», ha dichiarato di recente l’Arcivescovo di Colombo (e neo Cardinale) Malcolm Ranjith. Da tempo infatti la Conferenza Episcopale di Sri Lanka ha indicato al governo una serie di misure necessarie per la riconciliazione nazionale: in primis, abolizione delle leggi d’emergenza (in base alle quali sono stati commessi molti abusi), sostituzione dei militari con i civili nelle amministrazioni locali ancora militarizzate, creazione nelle scuole del Paese di un sistema educativo trilingue (singalese, tamil e inglese) rispettoso di tutte le identità. Sempre in questa prospettiva di pacificazione, i vescovi dello Sri Lanka sono tornati a chiedere la liberazione dell’ex generale Sarath Fonseka, condannato in ottobre a 30 mesi di carcere per presunte irregolarità commesse quand’era a capo delle Forze Armate e in attesa di altri processi con accuse (e pene) pesantissime.

La preoccupazione dei vescovi per il “caso Fonseka” è più che fondata, perché intorno al destino dell’ex generale rischia infatti di aprirsi una nuova, grave lacerazione nel tessuto sociale srilankese. Fonseka (cognome d’origine portoghese, come i primi colonizzatori dell’isola) fu il vero artefice della vittoria militare contro le Tigri Tamil nel 2009. Ma il soldato vittorioso, osannato da tutti, fece un errore: scese nell’arena politica e si candidò contro Rajapaksa alle elezioni presidenziali di gennaio. E perse. Da allora, la vendetta del Presidente ha privato Fonseka della libertà, dei gradi da militare e perfino della pensione. Però Fonseka ha avuto il 40% dei voti alle elezioni, e da moltissimi è ancora considerato un eroe. Da qui la necessità – avvertita dai vescovi – di fare luce sulla fondatezza delle accuse contro di lui e riabilitare il suo onore per evitare nuovi, sanguinosi conflitti.

Purtroppo, non sembra certo questa la preoccupazione principale del presidente Rajapaksa. Che dopo avere “annullato” il concorrente Fonseka ha ampliato a dismisura il proprio potere facendo abolire dal Parlamento qualsiasi limite al numero di mandati presidenziali (in pratica ponendo le basi per la propria rielezione “a vita”) e ponendo i propri famigliari in ruoli-chiave: due suoi fratelli sono ministri e uno è presidente del Parlamento. Così, in balìa di un “uomo forte” con un potere quasi assoluto e alle prese con un processo di pacificazione tanto riaffermato quanto incompleto,  Sri Lanka vede addensarsi nuove nubi: anche la crisi economica incombe, quest’estate il Fondo Monetario Internazionale ha concesso all’isola un prestito di 2,6 miliardi di dollari a patto che vengano introdotte severe misure di austerity economica. Che già sollevano proteste nella popolazione. Sri Lanka dovrà scegliere fra due alternative: un’autentica riconciliazione nazionale o un futuro incerto.

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La Chiesa in Sri Lanka e la riconciliazione nazionale

Fra i 24 cardinali nominati da Benedetto XVI il 20 novembre c’è un solo asiatico:  Malcolm Ranjith, arcivescovo

Una ex chiesa cattolica, oggi moschea, nella città di Galle (foto Marco Restelli)

di Colombo, capitale dello Sri Lanka. La sua nomina è stata accolta come un importante riconoscimento da tutta la Chiesa srilankese, che oggi conta un milione e quattrocentomila persone, circa il 7% della popolazione dell’isola. Nell’occasione si sono felicitati anche i rappresentanti delle minoranze anglicane e metodiste presenti nell’isola (complessivamente meno dell’1% della popolazione).  Ma il prestigio di monsignor Ranjith va al di là della stessa comunità cristiana, come ha ricordato l’alto prelato buddhista Madampagama Assaji Thero all’agenzia Asia News: «Quando era vescovo della diocesi di Rathnapura ha fatto molto per il dialogo interreligioso, non solo cercando di risolvere i problemi etnici ma anche dialogando direttamente con i leader delle Tigri Tamil».

E’ noto infatti che per trent’anni la popolazione di Ceylon (oggi Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka) è stata lacerata da una sanguinosa guerra civile fra la maggioranza singalese buddhista e la minoranza tamil induista; in questa dolorosa situazione la Chiesa – presente sia fra i singalesi sia fra i tamil – ha cercato di fare da “ponte” fra le due etnie. E in tale costante ricerca del dialogo si è distinto il neo-cardinale Ranjit.

La presenza cristiana a Ceylon ha radici antiche: nacquero piccole comunità sin dai primi secoli dell’era cristiana, com’è testimoniato anche dal ritrovamento di una croce scolpita (risalente al V secolo) nei pressi del sito archeologico di Anuradhapura, e di un fonte battesimale a Vavuniya, nella stessa zona. La diffusione del cristianesimo ebbe poi un forte impulso con l’arrivo dei portoghesi nel 1505 e continuò con gli olandesi e i britannici. Ma durante il periodo coloniale olandese venne dichiarato religione ufficiale il Calvinismo e molti cattolici furono costretti a praticare la fede in clandestinità; fu in quel periodo, fra il XVII e il XVIII secolo, che si mise in luce padre Joseph Vaz, un sacerdote indiano di Goa che arrivò sull’isola animato da spirito missionario e riuscì nell’intento di “ricostruire” la Chiesa sull’isola. Nel 1995 Padre Joseph è stato dichiarato Beato da Giovanni Paolo II, a Colombo.

Oggi, sotto la guida di monsignor Ranjith – divenuto quest’anno presidente della Conferenza Episcopale srilankese – la comunità cristiana dell’isola è impegnata nel difficile percorso di riconciliazione nazionale, per sanare le ferite della guerra civile conclusasi nel 2009. Anche per questa ragione è stato organizzato, il 29 ottobre 2010, il primo “Ritiro nazionale delle famiglie” al santuario di Thalavila, premiato da una grandissima partecipazione sia di singalesi sia di tamil.

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Una voce dello Sri Lanka: lo scrittore Michael Ondaatjie

Il più celebre letterato originario dello Sri Lanka è Michael Ondaatjie. Nato a Colombo nel 1943 ma trasferitosi presto in Canada con la famiglia, è noto in tutto il mondo per il suo romanzo Il paziente inglese (Garzanti), vincitore del prestigioso Booker Prize e ispiratore dell’omonimo film che nel 1996 conquistò nove Oscar. Oggi Ondaatje è canadese ma la sua produzione letteraria – sia di prosa sia di poesia – riflette spesso le peculiari radici dell’autore. Ondaatje è infatti un “burgher”, cioè un discendente di quei coloni europei (portoghesi, britannici e, come nel caso degli Ondaatje, olandesi) che dominarono l’isola di Ceylon per quattro secoli. Bianchi o meticci, i burgher di Sri Lanka parlano inglese e sono cattolici, anglicani e metodisti. Oggi ne rimangono appena 35mila, concentrati nella capitale Colombo, perché molti sono emigrati in Occidente. Ma Sri Lanka è rimasto nel cuore dello scrittore, come mostrano per esempio il romanzo Lo spettro di Anil – ambientato negli anni della guerra civile – e il libro di memorie Aria di famiglia (entrambi editi da Garzanti).

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