La bellezza dell’imperfezione: l’estetica giapponese del wabi-sabi
Ecco la mia rubrica MilleOrienti pubblicata sul numero di marzo del mensile Yoga Journal. Buona lettura
Viviamo in un mondo ossessionato dalla perfezione: i gadget tecnologici quando non lo sono più non vengono riparati bensì gettati; i nostri corpi quando invecchiano vengono corretti dalla chirurgia estetica; gli amori quando non sono più “perfetti†vengono semplicemente conclusi.
Questa ossessione per la perfezione in Occidente ha cause antiche e moderne, ma è importante ricordare che non è l’unico modo per rapportarsi al mondo e a noi stessi.
Per esempio, la tradizione estetica giapponese contempla la categoria del wabi-sabi, che allude al contrario proprio alla “bellezza dell’imperfezioneâ€. Non è possibile tradurre esattamente in italiano wabi-sabi. Si tratta di un concetto che copre un’area concettuale vastissima: «bellezza delle cose imperfette; bellezza delle cose incompiute o temporanee; bellezza delle cose umili, modeste, grezze, segnate dal tempo».
I giapponesi definiscono wabi-sabi, per esempio, un oggetto artigianale non raffinato, dalla superficie ruvida e irregolare, o consunto. Un tipico esempio sono le ceramiche raku (un esempio nella foto): ruvide, grezze, irregolari, eppure elegantissime. Queste ceramiche vengono realizzate da vari artisti anche in Italia (questo il sito di Arteraku).
Ma il concetto è applicabile anche all’uomo: sono wabi-sabi le le azioni e le emozioni semplici, spontanee, genuine, private, non ostentate, belle a prescindere dal risultato che ottengono.
Filosoficamente il wabi-sabi è legato al buddhismo zen e al taoismo, dottrine entrambe figlie di un’osservazione attenta e partecipe della natura. Quale pianta, quale animale si può definire perfetto? Tutti e nessuno, cioè ciascuno a suo modo.
Se volete visualizzare il wabi-sabi immaginate una ciotola: accoglie umilmente il tè e gli dà forma senza volerne mutare la natura.
Il wabi-sabi non si spiega. Si intuisce e si ama.

C’è un bellissimo libro di Pasqualotto che parla, tra le altre cose giapponesi,di questo argomento. Si chiama “Taccuino giapponese” ed è scritto magistralmente, come molti lavori di Pasqualotto. Proprio ieri sono stata ad una sua conferenza all’Ateneo veneto. Tra qualche giorno c’è un secondo incontro sul concetto di vuoto nel buddismo
nel buddhismo zen si dice ” ciò che il mondo scarta , la Via usa “. Forse, anche se non siamo buddhisti, dovremmo tenerlo a mente.
Hai ragione Mariagrazia 🙂
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