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Qual è il valore di una persona? Due opposte risposte dall’India

22 Novembre 2011 di 6 75 views

Qual è il valore di un uomo? E in che rapporto è tale valore con il danaro? Queste domande mi nacquero spontanee molti anni fa, durante uno dei miei primi viaggi in India, quando vidi in una piazza di Delhi una scena che mi lasciò scioccato. C’era un lustrascarpe “di strada” – che lavorava sul marciapiede – intento  a lucidare la scarpa di un uomo palesemente ricco. Quando il lustrascarpe ebbe terminato il suo lavoro il ricco cliente prese una banconota ma non gliela mise in mano, no: la lasciò cadere lentamente a terra. E mentre l’altro la raccoglieva si alzò e se ne andò. Era una scena di semplice brutalità: il lustrascarpe era probabilmente un fuoricasta “intoccabile” e il cliente – di casta alta – non voleva “inquinarsi” toccando l’altro uomo, che evidentemente considerava di valore infinitamente inferiore al proprio. Quel gesto esprimeva appunto una scala di valore (”io valgo così tanto più di te da non toccarti nemmeno con il mio denaro”) e il denaro ne costituiva il tramite e la misura.

Con questa scena negli occhi continuai il mio viaggio in India finché, tempo dopo, arrivai a Chennai, che all’epoca si chiamava ancora Madras. Visitai la sede centrale della Theosophical Society, la celebre Società Teosofica che in tutto il mondo studia gli elementi unitari delle religioni, e mi fermai a parlare con una dirigente. Finché a lei posi la domanda: “che valore ha un uomo secondo la vostra visione del mondo?”. Lei mi guardò senza parlare e mi condusse nel giardino della Society. Lì mi indicò un albero di baniano, ma in realtà, quello che la donna mi indicò era un vero e proprio bosco. «Sembra un bosco, perché copre quattrocento metri, ma non lo è: è un unico albero», replicò lei. «Ha molti secoli ed è il più antico e più esteso baniano del mondo. Dai suoi rami spuntano radici aeree che scendono poi nel terreno dando vita ad altri alberi che a loro volta danno vita ad altri alberi…tutti collegati fra loro. Ebbene, noi vediamo gli uomini nello stesso modo», concluse la teosofa. «Ogni persona, come ogni tronco del baniano, sembra una creatura isolata, ma in realtà non lo è: se guardi bene, le radici di ognuno sono collegate a un altro e gli danno vita. Nessuno di noi è isolato, e tutti diamo valore agli altri».
Seppi così perché l’uomo di Delhi, che non aveva toccato un suo simile, aveva sbagliato. Perché ognuno di noi riceve valore – vita – dagli altri, e a sua volta ne dà.

L'albero/bosco di banyan nel giardino della Theosophical Society di Chennai

(Quella che avete letto qui sopra è la mia rubrica MilleOrienti pubblicata sul numero di novembre 2011 del mensile Yoga Journal.
Spero come sempre di ricevere le vostre opinioni perché la questione di cosa determini il  valore di una persona mi sembra più attuale che mai).

 

 

 

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6 Risposte »

  • Qual è il valore di una persona? Due opposte risposte dall’India :

    […] Articolo completo fonte: Qual è il valore di una persona? Due opposte risposte dall’India […]

  • Luca Orgiu :

    Complimenti Marco, mi è piaciuto molto questo… racconto! Estremamente simbolico di 2 modi di vedere il mondo. Una metafora che va ben al di là dei confini indiani e che trova riscontro in ogni paese, Italia in testa. Il gesto di lasciar cadere la banconata ha tantissimo modi di declinarsi, basta pensare ai compromessi con il datore di lavoro a cui devono scendere molti italiani e italiane per lavorare, tanto per dirne una. Anche se non sono pulitori di scarpe e non raggiungono quei livelli di povertà tutto è proporzionato al contesto, quindi ugualmente grave.

  • sonia.namste :

    Caro Marco,
    rispondo al volo al tuo bell’articolo.
    Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E anche se fosse solo in Gange non sarebbe poca cosa. La tua esperienza è toccante. Ma tra questo punto di vista e la realtà indiana, come sai benissimo, c’è una bella differenza.
    La questione della dignità e delle caste è molto cocente in India.
    Dal 1950 le caste dovrebbero, in teoria, essere abolite.
    Ma sai bene che si appartiene ad una casta per jati e questo comporta una difficile liberazione da questo sistema. I varna sono assolutamente ereditari, stabiliti per nascita e accostabili alle 4 diverse parti del corpo, tutte degne e quindi tutte uguali. In teoria. Si, in questo caso il profondo pensiero della teosofica del Cennai è giusto.
    Ma un paria, un mahar, un bhangi, che diritti hanno? Che dignità viene loro attribuita? Sono solo Avarna perchè non riconducibili a nessuna parte di Purusha, l’uomo primordiale.
    Ricordo ancora con sgomento le parole di un mio giovane amico indiano di Jaipur: “La casta è la mia religione. Un intoccabile non entrerà mai nella mia casa perchè non voglio offendere la sensibilità e l’onore di miei genitori. E’ una questione di onore”
    Davanti a tutto questo la dignità di un uomo non esiste e l’India, tanto avanti, è rimasta tanto indietro
    Scusa la fretta..
    Baci
    Sonia

  • Marco Restelli (autore) :

    @ Luca: certo, la questione della dignità del lavoro è universale, e il rispetto del lavoratore (in questo caso il lustrascarpe di Delhi) va ben al di là dell’India. IL Corriere on line di oggi riporta una notizia: oggi in Italia 7 (sette) morti sul lavoro in 24 ore. Serve commentare?

    @ Sonia: come sempre la tua analisi è impeccabile. Gli avarna (cioè fuori dai varna, i macro-raggruppamenti di caste, che sono le jati) sono a volte considerati non-persone. Tutelati dalla Costituzione Indiana e dalle leggi, tuttavia non godono ancora, nella vita reale, di trattamenti sociali ed economici e diritti uguali a tutti gli altri indiani. La strada del progresso sociale è ancora lunga…

  • Katia :

    Ciao Marco, l’episodio che hai raccontato mi ha subito portato alla mente un libro, “Intoccabile” di Mulk Raj Anand. E’ un libro scritto più di 80 anni fa, ed è incredibile pensare che, se le leggi sono state fatte, la mentalità della gente non è poi cambiata molto.
    Leggendo il tuo post ho provato quella sensazione a metà tra tristezza e imbarazzo che mi prende sempre quando mi chiedono dell’India e della condizione delle persone in quel paese. Imbarazzo perché provi a rispondere, provi a dare una giustificazione a parole delle condizioni che tante persone devono sopportare, ma in fondo non convinci nemmeno te stesso.
    Forse perché noi vogliamo sempre “capire” le cose, ma capire non è forse il modo giusto per conoscere l’India.

  • Marco Restelli (autore) :

    Vero, Katia. L’India è meravigliosa ma a volte terribile, e il miglior modo di conoscerla – a parte i libri come quel vecchio, glorioso romanzo di Mulk Raj Anand – è quello di approcciarla con cuore e mente ben aperti. A risentirci, ciao

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