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Pannella: un secondo Nobel per la pace al Dalai Lama

11 Novembre 2013 di 7 90 views

Dalai LamaQuesta mattina il leader radicale Marco Pannella ha proposto la candidatura del Dalai Lama a un secondo Nobel per la pace, premio che la suprema autorità del buddhismo tibetano aveva già ricevuto nel 1989. Pannella ha avanzato la sua proposta nel corso della consueta conversazione con Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale (qui potete vedere il video in cui viene motivata la proposta). L’idea non è estemporanea né casuale: Pannella è l’unico politico italiano ad avere avuto costanti rapporti politici con il Dalai Lama in tutti questi anni, quindi conosce bene la drammatica questione tibetana. Ma perché avanzare ora la proposta del Nobel per la pace, e perché farlo quando lo stesso Pannella sa benissimo che nessuno ha mai ricevuto due volte il premio? La provocazione pannelliana nasce da una intervista appena rilasciata al Financial Times dal Dalai Lama, in cui questi afferma che, benché storicamente il Tibet sia stato una nazione indipendente, oggi si debba essere realisti e quindi si dichiara disposto a considerare il Tibet come territorio cinese a patto che la cultura tibetana e i diritti civili dei tibetani vengano rispettati dalla Cina (qui c’è il testo dell’intervista pubblicata dal Financial Times).

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La posizione espressa dal Dalai Lama non è nuova: per esempio tempo fa, durante una visita a Bolzano, aveva affermato di vedere l’autonomia della gente di lingua tedesca nell’ambito della Repubblica Italiana come un modello possibile per i tibetani nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese. Ma il fatto che ora il Dalai Lama abbia ribadito a chiare lettere  nell’intervista al giornale britannico di non considerare l’indipendenza un obiettivo realistico consente a Pannella di dire che il Dalai Lama avrebbe così tolto ogni pretesto alla Cina per negare una possibilità di reale mediazione con le delegazioni del Governo tibetano in esilio (le trattative tibeto-cinesi in questi anni non hanno prodotto alcun risultato), accusate di volere comunque violare l’integrità territoriale della Cina.

I problemi che si aprono a questo punto, però, sono molti, e ci vorrebbe un libro, più che un post, per descriverli. In sintesi: l’ondata di tragiche auto-immolazioni susseguitesi in Tibet (le “torce umane”) è stata rimossa dalla Cina che le ha targate come gesti disperati di singoli anziché come espressioni di una disperazione popolare ormai giunta al culmine fra i tibetani; la Repubblica Popolare Cinese non è l’Italia, e il modello-Bolzano appare di assai difficile applicazione in un contesto giuridico-politico come quello cinese; ampi settori del mondo giovanile tibetano (in esilio e non solo) contestano ormai apertamente il Dalai Lama accusandolo di non avere ottenuto nulla, in questi anni, con la sua linea morbida (chiamata buddhisticamente “Via di mezzo”) nei confronti dei cinesi, e si interrogano perfino su un’opzione di resistenza armata. Il problema che pongono da tempo gli ormai numerosi critici del Dalai Lama anche in Occidente (per esempio l’ex presidente dell’Associazione Italia-Tibet Piero Verni) è che mantenere una linea morbida nei confronti di Pechino sia stato un grave errore dell’entourage politico che circonda e consiglia il Dalai Lama, e che viceversa una linea più dura avrebbe dato e potrebbe ancora dare maggiori risultati. Insomma, la Cina starebbe solo aspettando la morte dell’ormai anziano XIV Dalai Lama per dichiarare chiusa la questione tibetana e proprio per questo non si dovrebbe ammainare la bandiera dell’indipendenza del Tibet, pena, appunto, la virtuale sepoltura di ogni speranza dei tibetani.

Credo che Pannella sia cosciente di tutto questo eppure – mi pare – sostiene che un nuovo Nobel per la Pace al Dalai Lama – per il suo coerente sforzo di costruire  una politica nonviolenta e orientata alla mediazione – darebbe maggior forza alla delegazione tibetana,  dandole maggiori possibilità di far andare in porto un accordo di tutela dei diritti civili dei tibetani nell’ambito di un quadro politico nazionale cinese, come richiesto da Pechino. Chi ha ragione secondo voi? Aspetto le vostre opinioni, che mi auguro numerose: il Tibet non ha più tempo.

(P.s.: per approfondimenti su questi temi leggete su questo blog i post contenuti nella categoria “Tibet”).

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7 Risposte »

  • Claudio Cardelli :

    Come al solito Pannella è un ottimo provocatore, anche se forse Grillo lo sta forse superando, non so se a destra o a sinistra… A parte le battute, il riconoscimento della validità della scelta “via di mezzo” del Dalai Lama, attraverso un pur ipotetico secondo Nobel, mi sembra una proposta lusinghiera per Sua santità ma priva di qualunque razionale. Tutto quello che sta accadendo in Tibet e in Cina, di poche ore fa la 129ma autoimmolazione, ci dice chiaramente che la Via di mezzo, pur con una sua giustificata aspirazione e un possibile pragmatismo, non ha nessuna possibilità di essere accettata da Pechino. Che peraltro non ha mai espresso u solo cenno a favore di un qualunque negoziato con le istituzioni tibetane in esilio. E’ arrivato, anzi, anche a negare anche la famosa frase di Deng “possiamo discutere di tutto fuorchè dell’indipendenza” che tanto ha alimentato le speranze dei cosiddetti negoziati sino-tibetani di fatto mai aperti. In realtà a Pechino non sono disposti a discutere di nulla. A questo punto forse neanche del tanto sbandierato rientro del Dalai Lama in Tibet. Questa è la realtà dei fatti. Poi si può sperare legittimamente quello che si vuole. Ci mancherebbe. Viene da chiedersi, visti gli ultimi segnali che manda la nuova nomenklatura cinese di Xi Jinping( su cui molti riponevano tante speranze…) se non sia il caso di impiegare l’autorevolezza e la popolarità di cui il Dalai Lama gode nel pianeta, per “agevolare” non dico lo smantellamento di quel regime ( cosa molto auspicabile non solo per i tibetani ) ma almeno un processo di cambiamento in senso democratico e riformista da una posizione però chiaramente critica e non così acquiesciente se non addirittura umiliante. Ricordiamo che la “via di mezzo” da Pechino ha ricevuto da vent’anni solo insulti e accuse di doppiogiochismo in un refrain monotono e ottuso. Il Dalai Lama a 78 anni avrebbe sicuramente la forza e le credibilità più che sufficienti per innescare un processo di questo genere, tenendo comunque fede al suo principio di rivendicazione dei diritti dei tibetani attraverso la nonviolenza.
    Forse dovrebbe allearsi con il crescente dissenso in Cina piuttoso che cercare una via negoziale privilegiata con un regime brutale e come tale destinato prima o poi a cadere. Potrebbe essere anche un calmiere contro un eventuale nuovo corso di terrorismo che in Cina sembra oggi tutt’altro che ipotetico. Due attentati in due settimane. Rimasi molto colpito anni fa a Roma quando un gruppo di cinesi che vivevano in Italia si presentarono per chiedere di poter vedere “da vicino” Sua Santità perchè, dissero, “aveva cambiato le loro menti…”
    Mi rendo conto che tutto ciò non è affatto facile ma ritengo comunque indispensabile una svolta concreta dopo questa improduttiva stagnazione di due decenni; anche per quei martiri che si sono tolti la vita in quel tragico modo per la libertà di TUTTI i tibetani.

  • piero verni :

    Caro Marco,
    visto che mi citi nel tuo pezzo mi sento obbligato a dire, sommessamente, un paio di cose. Innanzitutto una precisazione. Non sono affatto un critico del Dalai Lama che, come sai stimo e apprezzo sotto il profilo umano, etico, morale e religioso. Come osservatore della questione tibetana mi sono limitato ad essere scettico sull’ipotesi che la presente dirigenza cinese possa intavolare un dialogo effettivo con il Dalai Lama per discutere una proposta di autonomia, sia pure moderata come quella esposta nella Via di Mezzo. E con grande dispiacere devo prendere atto di avere avuto ragione in questi lunghi 25 anni che ci separano dalla “Strasbourg Proposal”. Poi, relativamente al dibattito che divide la comunità tibetana dell’esilio, vale a dire quello tra richiesta di Autonomia appoggiata dal Dalai Lama e dalla maggioranza dei profughi (anche perché esprime la volontà del Prezioso Protettore) e richiesta di indipendenza avanzata da settori minoritari ma significativi del mondo dei rifugiati, ritengo che la cosa migliore per chi non è tibetano sia quella di far conoscere il proprio punto di vista senza però sostituirsi ai tibetani stessi. A me comunque questo dibattito appare un pochino surreale dal momento che mi sembra palese che il regime attuale non è disponibile a discutere né l’una né tantomeno l’altra ipotesi. Quindi, come vado dicendo a mo’ di un disco incantato da oltre un decennio, i tibetani dell’esilio farebbero meglio a cercare di capire quale potrebbe essere il loro più efficace contributo ad una modifica dello stato di cose presente in Cina e rimandare la discussione tra Autonomia e Indipendenza a un auspicabile futuro in cui il regime comunista cinese sarà caduto. Perché bisognerebbe non dimenticare che tutti i principali possibili interlocutori di Pechino sono in larga misura moderati. Il Dalai Lama per i tibetani, Rabya Kaader per gli uighuri, i dirigenti della Falun Dafa, Liu Xiao Bo per la dissidenza intellettuale (a proposito ricordatelo a Pannella quanto il premio Nobel sia un ombrello efficace agli occhi dei leader cinesi, che tengono questo mite premio Nobel per la pace in galera da diversi anni), etc. Ma a Pechino della moderazione di questi personaggi e dello loro rivendicazioni non interessa nulla. Non trattano perché sono dell’idea che anche la più modesta concessione politica innescherebbe un processo destabilizzante che non potrebbe concludersi altro che con il collasso del regime e il crollo del Muro di Pechino.
    Con buona pace di tutti, per dialogare bisogna essere in due come per fare all’amore. Altrimenti si rischia l’onanismo.
    Un caro saluto da Kemper divenuta l’epicentro dell’interessante rivolta dei Bonnets Rouges,
    piero

  • Marco Restelli (autore) :

    Caro Piero, grazie per il tuo lucido intervento, che non lascia aperte molte opzioni alla speranza ma che ha il pregio di essere realistico. Spero che altri lettori di MilleOrienti vogliano seguire il tuo esempio e darci il loro parere. Saluti a te e alla tua amata Francia.

  • sonia.namste :

    Caro Marco,
    mi permetto di dare un mio umile contributo. Concordo con Verni, con il quale ho avuto già modo di parlare, sulle questioni inerenti la Via di mezzo. Oggi un dialogo appare abbastanza utopico.
    La possibilità di una democraticizzazione della Cina, o comunque di un cambiameto radicale della sua politica interna, era emersa anche durante il nostro incontro veneziano. Nonostante le scarse speranze attuali inerenti tale prospettiva, è auspicabile dirigersi verso essa.
    A ciò si aggiunga che anche il nuovo Kolon Tripa, Lobsang Sangay, non ha una posizione particolarmente distante dalla mediazione o “via di mezzo”. Con tutte queste tenui posizioni, come dice giustamente Verni, la possibilità di un cambiamento decisivo risulta molto coplicata. Per questo, ribadisco, risulta forse più utile un cambiamento dall’interno. Il Tibet oggi non sembra ancora pronto ad una Rivoluzione effettiva.
    Buon tutto
    Sonia

  • Marco Restelli (autore) :

    Cara Sonia, ti ringrazio per il tuo contributo, sempre prezioso. Temo che tu e Verni abbiate ragione: non ci resta che sperare in un cambiamento interno alla Repubblica Popolare Cinese, tale da dar corso – fra l’altro – a una nuova politica dei diritti umani. Purché tale cambiamento non avvenga troppo in là nel tempo…perché la sopravvivenza della cultura tibetana è ormai “garantita” solo al di fuori del Tibet.

  • Piero Verni :

    Questo è un punto cruciale Marco ed hai fatto bene a ricordarlo. Stante le condizioni attuali in Tibet, la preservazione della cultura tibetana poggia adesso più che mai sulle spalle degli esuli e delle popolazioni che abitano le aree tibetane dell’Himalaya. A questa scheggia di Tibet politico ed etnico è affidato il compito di tenere vivo il filo che lega la civiltà del Paese delle Nevi alle proprie radici. Spero che questa urgenza sia presente anche nelle menti, non sempre lucidissime a mio modesto avviso, dei rappresentanti della CTA (Amministrazione Tibetana in Esilio) e che tra un sogno di colloquio e un altro non dimentichino questo aspetto della questione.

    Un caro saluto dalla mia amata Bretagna a te ed anche alla validissima Sonia che ho avuto il piacere di conoscere ed apprezzare in occasione del convegno sul Tibet tenutosi nel mese scorso all’Università di Venezia.

    pv

    p.s. che cavolo sono quegli indovinelli matematici che dobbiamo pubblicare per poter inviare un commento?

  • Marco Restelli (autore) :

    Un grazie, benché tardivo, anche a Claudio (oltreché a Piero e Sonia) per il suo sempre interessante contributo alla discussione.

    @Piero: quegli “indovinelli matematici” (da scuola elementare) sono stati da me introdotti per bloccare, almeno in parte, i messaggi di “spam” che arrivavano in massa – guarda caso – dalla Cina, oltreché dalla Russia.
    Ciao

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