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Il grande Murakami Takashi in mostra a Milano

25 Luglio 2014 di - 193 views
Takashi Murakami - 69 Arhats Beneath the Bodhi Tree, 2013  Acrylic, gold and platinum leaf on canvas mounted on board - 3000 x 10000 mm. Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2013 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved.

Takashi Murakami – 69 Arhats Beneath the Bodhi Tree, 2013
Acrylic, gold and platinum leaf on canvas mounted on board – 3000 x 10000 mm. Courtesy Blum & Poe, Los Angeles. ©2013 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved.

Il 24/07  è stata inaugurata alla Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano la mostra di Murakami Takashi Il ciclo di Arhat, che rimarrà aperta fino al 7 settembre 2014. Nel 2008 la rivista Time definì Murakami il più influente artista giapponese vivente. Di certo il cinquantaduenne pittore e scultore è un geniale interprete di quella cultura visiva nipponica che (a differenza della nostra) non riconosce un confine fra arte “alta” e “bassa”, fra i capolavori pittorici degli antichi maestri e i manga, usando un mix di linguaggi che dà forma alla cultura di massa contemporanea. Un’estetica superflat densa di riferimenti a oggetti di consumo quotidiano trasfigurati in icone, ai fumetti e al mondo della moda (Murakami ha collaborato con Vuitton); un’ispirazione pop per cui in Occidente è stato di volta in volta accostato ad Andy Warhol o a Jeff Koons, ma anche al graffitismo di Keith Haring. E in puro spirito pop l’artista ha prodotto e venduto in tutto il mondo (attraverso la sua Kaikai Kiki Co. Ltd.) le riproduzioni in plastica gonfiabile delle sue opere più disimpegnate e allegre, dai fiori alle faccine sorridenti.

Ma l’opera di Murakami non è solo e genericamente pop art: è profondamente giapponese. Già in passato, del resto, la sua estetica superflat “finto-ingenua”, il suo mondo colorato da cartone animato, rivelava influenze molto composite: nel 2002 vidi alla Fondation Cartier di Parigi una mostra di Murakami intitolata Kawaii! (in giapponese significa “che carino!) che presentava quadri e sculture giganteschi con fiori ed elementi della natura – tipici della tradizione giapponese – in serie multiple come nella pop art, però i funghetti da fiaba di Murakami celavano inquietudini come il ricordo del fungo atomico di Hiroshima e, nei colori acidi, il richiamo ai funghi allucinogeni della cultura psichedelica underground.

Nella mostra milanese di Murakami i richiami alla cultura giapponese sono ancora più evidenti e più originali. E’ densa infatti di riferimenti buddhisti sin da titolo: l’Arhat è l’ideale di perfezione del monaco nella scuola buddhista più antica, il Theravada, e l’opera che vedete qui sopra raffigura infatti 69 Arhat sotto l’Albero della Bodhi, cioè dell’Illuminazione, sotto a cui Siddhartha Gotama meditando divenne il Buddha. Un albero reale in un luogo reale: si trova a Bodh Gaya, in India. Tuttavia, Murakami rappresenta il tutto con un segno che richiama i manga e gli anime. E lo stesso accade nella raffigurazione di demoni e Arhat che potete vedere qui sotto. Nei due quadri qui riprodotti gli Arhat vengono ritratti accentuando quella ritrattistica grottesca tipica della pittura classica giapponese, quasi fossero parodie di Arhat: c’è una vena di sarcasmo dell’artista nei confronti della tradizione buddhista? Un indice di sfiducia verso le soluzioni proposte dalla tradizione per risolvere le problematiche della vita contemporanea?

Takashi Murakami (Japanese, 1962-)-  Red Demon and Blue Demon with 48 Arhats, 2013 Acrylic, gold and platinum leaf on canvas mounted on board 3000 x 5000 mm Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2013 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved.

Takashi Murakami Red Demon and Blue Demon with 48 Arhats, 2013. Acrylic, gold and platinum leaf on canvas mounted on board, 3000 x 5000 mm. Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2013 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved.

Il curatore della mostra milanese, Francesco Bonami, definisce Murakami «Un bambino antico, che porta con sè gli elementi dell’infanzia intrecciandoli con la storia e le tradizioni del Giappone». Ma oggi l’artista sembra appunto animato da nuove inquietudini e riflessioni e le opere in mostra a milano citano – in modo più o meno esplicito – la catastrofe nucleare di Fukushima, la materia oscura dell’universo,  le “verità cosmiche”, e, come detto, gli Arhat buddhisti, ma questi ultimi non già gloriosi e perfetti, come da tradizione, bensì scheletrici e sofferenti. Lo stesso Buddha ovale – un’affascinante scultura che accoglie per prima il visitatore – è a due volti: l’uno in apparenza meditante, l’altro terrifico. Due aspetti paiono incontrarsi in Murakami, che negli autoritratti in mostra si rappresenta, non a caso, sempre con una camicia divisa in due: su una metà vi sono i fiorellini sorridenti che lo resero famoso già all’epoca della citata mostra parigina Kawaii!, mentre sull’altra metà della camicia vi è sempre una cascata di teschi, quasi una meditazione sull’impermanenza (tipico concetto buddhista) e sulla morte. Un tema, quello della cascata di (o della montagna di) che è da tempo sempre più ricorrente in Murakami. l “bambino antico” sta cambiando e, una volta di più, riesce ad affascinarci.

Murakami Takashi

Murakami Takashi in una recente immagine

 

 

 

 

 

 

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