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Uno chef italiano a Kyoto: Valentino Palmisano racconta

28 Aprile 2016 di 1 280 views

Valentino Palmisano e Toshimitsu Kido«Com’è fare lo chef in Giappone? Per me, è come trovarmi da bambino in un negozio di giocattoli: una goduria». Sorride divertito Valentino Palmisano, trentacinquenne napoletano che da due anni e mezzo gestisce con il suo vice Toshimitsu Kido (entrambi nella foto sopra) il  ristorante italiano La Locanda nell’ hotel Ritz-Carlton di Kyoto.
MilleOrienti ha incontrato Palmisano il 26 aprile 2016 durante una cena (menù fusion italo-giapponese, vedi sotto) da lui cucinata nell’ambito di Fish & Chef, rassegna gastronomica sul pesce d’acqua dolce che si tiene ogni anno sul Lago di Garda. L’evento si è svolto infatti a Garda nel Regina Adelaide, romantico hotel affacciato sulla riva veronese del lago, su invito di Andrea Costantini (executive chef del Regina Adelaide e del ristorante gourmet Regio Patio) e di Leandro Luppi (chef patron del ristorante Vecchia Malcesine); entrambi sono molto amici di Palmisano e come lui affascinati dalle possibilità di incontro fra le due cucine, l’italiana e la giapponese.

Da questa ispirazione è nata appunto la cena gardesana che ha presentato fra l’altro questi piatti di squisita eleganza:
“Asparagi bianchi con Ricotta di Bufala, Trota salmonata e gelatina di Ponzu” (foto sotto); il Ponzu è una salsa di soia aromatizzata agli agrumi.
Asparagi bianchi con ricotta di bufala, trota salmonata e gelatina di ponzu

“Salmerino marinato al Miso, Dashi di pomodoro, Asparagi verdi e Yuzu”  (foto sotto); il Miso è un condimento derivato dai semi della soia gialla, il Dashi è un leggero brodo di pesce, lo Yuzu è un agrume asiatico.
Salmerino marinato al Miso, Dashi di pomodoro, Asparagi verdi e Yuzu

“Crosta di Vaniglia e Gelato al Macha”  (foto sotto); il Macha è una varietà molto raffinata di tè verde giapponese, utilizzata nella Cerimonia del Tè.
Crosta di Vaniglia e gelato al Macha
Ed ecco alcune domande che MilleOrienti ha rivolto allo chef Valentino Palmisano.
Cosa significa per te fare lo chef in Giappone?
«Per uno chef il Giappone è la meta della vita, è un luogo in cui la qualità dei prodotti e del lavoro è al massimo livello. Si imparano molte cose, come l’estrema attenzione alla stagionalità. I giapponesi seguono la stagionalità in tutto, dalla poesia alla cucina, e chi sta in Giappone impara ad adeguarsi: perfino la Nestlé in Giappone  ha dovuto creare varianti stagionali del Kitkat. Si impara anche a confrontarsi con cucine molto diverse come quella tradizionale Kaiseki. Con quest’ultimo tipo di cucina ho un rapporto di amore-odio perché io sono un tipo spontaneo, immediato, mentre la Kaiseki non lo è affatto. In Giappone bisogna capire a fondo la natura dei prodotti, i rapporti fra loro e con le stagioni…per fortuna io ho avuto anche un maestro, che mi ha svelato alcune cose».
Chi è questo “maestro?
«E’ uno chef con tre Stelle Michelin, che mi ha spiegato per esempio come fare il Dashi, e mi ha illuminato. Ma è un “maestro segreto”: non rivelo il suo nome per rispetto, perché lui non vorrebbe».
Dove hai lavorato prima del Giappone?
«
Sono napoletano di Fuorigrotta (sorride, ndr.) e dopo varie esperienze in ristoranti italiani mi ero trasferito in Cina con mia moglie, che ha studiato il cinese. Ho lavorato per tre anni e mezzo in grandi ristoranti di Shanghai ma a un certo punto ho sentito che avevo bisogno di stimoli nuovi. Il Giappone ovviamente mi attirava e ho accettato volentieri la proposta del Ritz-Carlton di Kyoto, per il ristorante italiano La Locanda».
Com’è stato il passaggio da Shanghai a Kyoto?
«Sono due città diversissime: Shanghai è una metropoli moderna con un’atmosfera internazionale (un’esperienza fondamentale per me), mentre Kyoto è  
la culla della tradizione giapponese, l’essenza stessa della giapponesità. Non potrebbero essere più differenti, ma entrambe sono molto interessanti».
E ora?
«Da due anni a mezzo a Kyoto ho un ristorante di cucina italiana  e utilizzo solo prodotti reperibili anche in Italia. Insomma, una cucina italiana in purezza. Quando vengo in Italia come adesso, invece, mi piace sperimentare incontri fra le due cucine. Insomma, in cucina si può fare tutto, l’importante è dare chiaramente il proprio messaggio. E io in Giappone mi diverto come un bambino in un negozio di giocattoli».

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1 Risposta »

  • Mahee Ferlini :

    Che bell’ articolo su un expat di successo 🙂

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