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Inchinarsi al vuoto. Un’idea di Giappone

27 Aprile 2013 di 2 541 views

6a0120a5cd70e9970c016763b9ebcd970b-800wiLa persistenza della tradizione in Giappone (ma anche in altri Paesi asiatici) prende a volte forme sorprendenti, rivelatrici. Che cos’è il Giappone? O meglio, qual è il senso “segreto”, la chiave per capire cosa sia oggi la società giapponese? Me lo sono chiesto tante volte, viaggiando nel Paese del Sol Levante. Molti osservatori italiani si sono fermati alla superficie della modernità patinata – tecnologia, shopping, eccetera – e hanno perso di vista il senso profondo di quella cultura. Capitò perfino al miglior giornalista italiano sull’Asia, Tiziano Terzani, che io considero il mio Maestro: capì e descrisse il modo impareggiabile tanti Paesi orientali, ma secondo me il Giappone gli rimase estraneo.

Altri osservatori italiani amano invece concentrarsi sullo zen, sulla straordinaria armonia dei giardini tuttora curati come opere d’arte viventi, sulla raffinata estetica, ma anche questi aspetti secondo me non bastano a spiegare chi siano i giapponesi oggi.

Poi un giorno si verificò qualcosa che mi aprì gli occhi. Mi trovavo a Osaka (città bruttina, ma con una vivace vita notturna) in una radio privata, ospite di amici che mi avevano presentato il dj. Ero nello studio radiofonico con questo dj che a un certo punto introdusse un gruppo rock, quattro ragazzi vestiti in uno stile “tipo-punk”. E in quel momento accadde una piccola magia: quando i rockers vennero presentati al pubblico che li ascoltava via radio, si inchinarono al microfono.

Non credevo ai miei occhi: quattro “selvaggi” punk  con le creste e le borchie, che si inchinano a un microfono. Perché? Non erano in tv, erano in radio, non c’era nessuno a vederli! Nessuno a parte me e il dj che però stavamo dietro le loro spalle. A chi si inchinavano dunque? Al vuoto? Esatto.
Ci fu un attimo di silenzio in cui i radiospettatori poterono intuire che i quattro rockers li avevano silenziosamente salutati. La tradizione era più forte delle creste, delle borchie, del rock metallaro.

Un inchino, un microfono e una sala di registrazione vuota: ecco il Giappone.

(Quella che avete letto qui sopra è una mia rubrica MilleOrienti pubblicata tempo fa sul mensile Yoga Journal).

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2 Risposte »

  • Michele :

    Gli inchini giapponesi mi hanno sempre affascinato molto.
    Mentre mi trovavo a Kyoto, al Santuario di Fushimi Inari-Tashima, vidi una coppia di adulti che si stava salutando di fronte all’inizio della fila di Tori con una coppia più anziana. Sicuramente (questo è quello che penso io) la coppia adulta erano marito e moglie e la coppia più anziana erano probabilmente i genitori della moglie. Il marito, difatti, prima di lasicarli si è inchinato profondamente quasi a 90 gradi di fronte al signore più anziano proprio come in una scena di una manga di Rumiko Takahashi strappandomi un piacevole sorriso.
    Ma ci sono altri inchini che mi hanno colpito! Per esempio quelli dei controllori dei treni Shinkansen (e non solo!). Di fatti ogni volta che un controllore entra in una carrozza, anche solo per attraversarla, si inchina. Stessa cosa quando esce. Dunque se il capotreno deve raggiungere la testa del treno dalla coda in un convoglio di 10 carrozze ci regalerà la bellezza di 20 inchini risalendo il treno!!! Fantastico!
    Stessa cosa per gli addetti delle stazioni della Metropolitana di Tokyo (LA MIGLIORE DEL MONDO!!!) che non appena arriva il treno… ZACK! Sfoggiano un inchino! Buon Giorno Signor Treno!
    Penso che queste piccole cose dicano molto del Giappone e se a me fanno sorridere, probabilmente sono un tassello fondamentale della tradizione nipponica!

  • Marco Restelli (autore) :

    Caro Michele, sono d’accordo con te e trovo utile questa tua testimonianza sull’uso dell’inchino in Giappone. Domoarigatogozaimashta. Teniamoci in contatto, ciao,
    Marco

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